I critici la chiamavano ceramica, io la chiamavo scultura.
Lucio Fontana
Cercavo una nuova immagine del mondo che desse un senso a questo nostro grigiore e valesse tutta la bellezza che si perdeva, salvandola… – Una nuova faccia del mondo. Così scriveva Italo Calvino nel suo Gli amori difficili pubblicato nel 1971, e non è un caso che Tetti abbia scelto come riferimento del suo lavoro i racconti del grande scrittore della leggerezza e dell’ironia portate a strumento poetico di lettura del mondo. Come Calvino l’artista acquisisce la banalità della nostra società e l’appiattimento del linguaggio, e lo ribalta dall’interno con i mezzi dell’immagine e di un materiale, la ceramica, che contiene in sé il mistero della trasformazione. Il lavoro di Adriano Tetti ha un forte vocazione per la sperimentazione sia in campo scultoreo, vedendo nella ceramica una possibilità per una scultura dipinta ispirandosi all’approccio plastico che già ebbero nel Rinascimento ceramisti scultori come i Della Robbia, sia in campo pittorico in dialogo con la grande tradizione dell’arte. La sua ricerca si propone, con intelligenza ed eleganza formale, come paradigmatica nel gioco ambiguo e affascinante dell’arte contemporanea, a cui non è estraneo il sottile strumento dell’ironia, una sorta di chiave per accedere al “mondo delle cose” senza perdere il dato mentale che è alla base del suo procedere artistico. L’oggetto di consumo entra nelle opere di Adriano Tetti con la sua veste consueta e conosciuta ma spiazzato dal contesto “normale”, spaesato dall’ambiente massmediologico per il quale è stato pensato; decontestualizzato e presentato in modo divergente. Operazione il cui effetto straniante viene esaltato dai titoli delle opere, loro elemento imprescindibile. Elena cala di forma, Psiche (Da-te-ero, Amore) o Impossible kiss, per citare alcuni lavori esposti in mostra, sono titoli che fanno parte integrante delle opere, così come avviene sin dai primi anni ‘90, quando Tetti espone con il gruppo Mistiche Nutelle, per il quale - scriveva OmarCalabrese nel 1991 - si pone come primissima componente l’esasperazione del gioco barocco della titolazione. Esasperazione che conduce, il più delle volte ad annullare totalmente il senso.
Lo spaesamento semantico, usato dall’artista con raffinata intelligenza, un continuo sfasamento linguistico tra il titolo dell’opera, ciò che vi è raffigurato e le immagini protagoniste: elementi tutti coerenti tra loro ma che, uniti, creano una sorta di cortocircuito percettivo che vede l’osservatore coinvolto direttamente a catturarne il senso, come in un rebus enigmistico. Giocando con l’ambiguità del linguaggio e agendo sul significato letterale delle parole, l’artista mescola le carte e crea “situazioni” calviniane, paradossali ma credibili in termini di narrazione. “Giochi di parole” e “giochi di immagini” si sovrappongono in un tessuto inestricabile, che mette in discussione la certezza di ciò che vediamo creando meraviglia, accentuata dalla scelta dei materiali e dalla “magica” manipolazione che ne fa l’artista, in un poetico e stralunato intreccio di contaminazioni tra la “lingua” delle parole e quella delle immagini; una sublime poetica dei materiali, tra concettuale e ludico. Un “gioco” intellettuale che trattando d’amore, scalda la ceramica e le dà anima. In quei “nuovi” oggetti che Tetti ribattezza attingendo al mito dell’amore e alle iconiche immagini commerciali, ci siamo noi, con i nostri amori difficili, fragili come la ceramica, unici perché nostri e solo nostri, in realtà straordinariamente banali ed evanescenti, impalpabili. L’amore, viene da dire alla fine del nostro viaggio fra le opere in mostra, è una Città Invisibile dove i tempi di attesa accendono il desiderio. Dove il “non avere” provoca passione. Dove l’assenza vince sulla presenza. Dove “difficile” diviene garanzia di durata. Dove è possibile scomparire e non trovarsi mai più.
Silvia Evangelisti
per la mostra gli Amori difficili
2021